Anche se in tutto il mondo i fritti sono parte fondamentale delle culture culinarie, Italia inclusa, gli studi scientifici a proposito del loro effetto sulla salute hanno finora dato risposte abbastanza confuse. In sintesi, è ormai chiaro che non si tratta di un metodo di cottura da evitare in assoluto, ma allo stesso tempo è bene seguire alcune buone norme di preparazione e soprattutto non eccedere nelle quantità, limitandosi a un paio di volte a settimana al massimo anche per chi gode di ottima salute. Secondo altre fonti, il massimo settimanale ammissibile è di una sola volta ogni sette giorni.
Una recente ricerca scientifica si è concentrata in particolare sull’effetto delle fritture sulle persone colpite da patologie intestinali come coliti e cancro al colon, aiutando a fare chiarezza su quali abitudini siano corrette e quali da sconsigliare. Anticipiamo subito la conclusione: in questi casi i fritti – e in particolare gli oli delle fritture – hanno un effetto negativo sullo sviluppo della malattia, dunque andrebbero ridotti drasticamente se non eliminati del tutto.
Il gruppo di scienziati che ha condotto lo studio - dai laboratori dell’università statunitense di Amherst nel Massachusetts - ha svolto le ricerche utilizzando come cavie i topi, e ha ottenuto risultati ritenuti validi anche per gli esseri umani. Confrontando i casi in cui si è introdotta nella dieta giornaliera una quota di olio da frittura con quelli in cui si è utilizzato solo olio a crudo, si è osservata una significativa differenza del decorso delle patologie al colon.
Aggravamento delle infiammazioni intestinali, ingrandimento accelerato della massa tumorale e peggioramento delle ulcere (con tanto di contaminazioni del sangue con i batteri intestinali) sono solo alcuni degli effetti avversi registrati dai ricercatori, che hanno riferito anche di un raddoppio delle dimensioni del tumore in poche settimane per i topi alimentati a fritture. “Questo non significa che gli oli da frittura causino il cancro al colon”, hanno chiarito gli scienziati, “ma solo che il fritto aggrava il decorso della malattia in chi ne è già colpito, rendendone più ardua la guarigione”.
La spiegazione ritenuta più probabile per questo spiacevole effetto è che l'ossidazione degli acidi grassi polinsaturi – un processo chimico che si verifica quando l'olio viene riscaldato – sia la causa scatenante dell’infiammazione. Ma al di là dei dettagli biochimici, sarebbe importante cambiare le abitudini alimentari di quelle persone che continuano a consumare regolarmente fritti, nonostante soffrano di malattie oncologiche all’intestino.
Ci sono poi alcuni consigli, validi per tutti, da tenere a mente quando si cucina un fritto, proprio per ridurre gli effetti spiacevoli. Ad esempio, meglio usare una quantità abbondante di olio assicurandosi che gli alimenti siano completamente immersi, e poi ridurre il tempo di frittura a pochi minuti e non superare mai la temperatura di 180°C. A fine cottura, poi, si consiglia di passare più volte il cibo nella carta assorbente (per ridurre la quantità d’olio ingerita) e soprattutto di non usare ripetutamente lo stesso olio per più sessioni di frittura.
Gianluca Dotti
Giornalista scientifico / Tecnoscienza
Fonte: http://bit.ly/CancerPreventionResearch2019